Omelia per il funerale di p. Ermanno Battisti – Villa Grugana – 7 gennaio 2015

Liturgia del giorno. Mt 4,12-17.23-25 Questo brano di Vangelo della liturgia di oggi illumina la vita del nostro caro p. Battisti (o Batista come ormai era diventato il suo cognome in Guinea). Gesù è il missionario delle genti, parte dalla Galilea delle genti dove c’è un miscuglio di umanità diverse, un po’ fedeli e un po’ meno al Dio di Israele. È il mondo a cui è mandato il missionario, e il mondo al quale p. Ermanno ha consacrato la sua vita. Già dagli inizi: durante i primi 7 anni di giovane prete si dedica all’animazione missionaria a Milano soprattutto attraverso il giornale per i ragazzi Italia Missionaria, che grazie a lui viene rilanciato e raggiunge tanti ragazzi, perché venissero sensibilizzati alla Missione e alla solidarietà. Già si delinea la sua vita missionaria: donata soprattutto ai giovani, per avvicinarli a Cristo, per amarli e per renderli protagonisti del loro futuro. Il suo impegno missionario in Guinea inizia con il seminario diocesano: un atto di fiducia sin dall’inizio alle capacità dei giovani guineensi, quando ancora il condizionamento del colonialismo tendeva a far vedere la popolazione locale come incapace e poco evoluta. Per lui e per i missionari del PIME non era così, e i frutti si vedono, a cominciare dal primo prete e vescovo guineense, che p. Battisti ha seguito in seminario. La Galilea delle genti poteva dare qualcosa di buono, perché anche di questi pregiudizi sofferse Gesù, ma non si fermò. Il Vangelo di oggi ci mostra poi la compassione di Gesù, che cura i malati e gli indemoniati, e li ama di un amore esagerato, scontentando i potenti di allora. P. Battisti può essere definito un missionario della compassione, un uomo che si è fatto carico dei dolori e delle angosce del suo popolo. In Bissau, subito dopo l’indipendenza, vede i tanti giovani che cercano di costruirsi un futuro diverso, non essendo ormai più succubi dei colonialisti, ma non hanno i mezzi per farlo; e ha una grande intuizione: renderli protagonisti del loro sviluppo, credendo nelle loro grandi capacità e dando loro la possibilità di svilupparle. Inventa così il Centro artistico giovanile, dove tantissimi giovani per decenni hanno imparato un lavoro, un’arte, e con questa si sono pagati gli studi e hanno sostenuto le loro famiglie. Più avanti comincerà a mandare tanti giovani a studiare, soprattutto in Italia, perché giustamente affermava che la Guinea si costruisce coi guineensi, non solo con chi viene da fuori. Grande intuizione. Grandi fatiche e sforzi per realizzare questo sogno. Se Gesù fu criticato da molti perché stava troppo con gli ultimi, anche p. Battisti fu criticato per il suo eccessivo dare agli altri. Fu un ingenuo? Venne usato? Esagerò nell’aiutare? Una cosa è certa: ha amato la gente a cui Gesù lo ha mandato per continuare la sua missione, ha amato i giovani, e per loro ha pagato di persona. Quando sono arrivato in Guinea ricordo che mi disse: “Davide, ci sono bravissimi giovani in Guinea, vale la pena investire! Molti ti fregheranno, ma ce ne sono tanti bravi”. Soprattutto quando ho iniziato la radio Sol mansi ho fatto tesoro di questo consiglio, e non posso che dirgli grazie per avermi insegnato a fidarmi e a puntare sui giovani guineensi dando loro l’opportunità di crescere e sviluppare le doti che avevano ricevuto dal buon Dio. Le capacità e l’impegno di molti sono andati al di là delle mie più rosee previsioni. La presenza oggi qui al funerale di tantissimi guineensi venuti da altre regioni è il segno più eloquente di quanto ha amato il suo popolo, e di quanto sia amato. E un grazie sentito ai suoi famigliari per avercelo donato. In particolare alla sua cara mamma, che gli donò l’elefantino che cambiò la sua vita, e che ricevette e aiutò tanti giovani guineensi. Certo, p. Battisti soffrì molto per gravi delusioni: alcuni di quelli a cui più ha dato, lo hanno tradito, hanno sprecato le opportunità ricevute. P. Battisti ha pagato di persona per aver amato e per essersi fidato. E ha pagato caro: chi conosce la sua storia lo sa. Anche in questo fu assimilato a Gesù, che pagò per essersi fidato dei suoi, fino a baciare Giuda. Certo, il nostro caro Ermanno avrebbe potuto ascoltare alcuni consigli ricevuti dal vescovo o da alcuni missionari, o dalla gente stessa. Era un po’ un solitario e potremmo dire (bonariamente) un po’ un testone. Credo però che davanti al buon Dio qualche peccato per ostinazione ad aver ecceduto di zelo e di amore non avrà difficoltà ad essere perdonato. È il cuore duro di fronte ai bisogni della gente che farà fatica a chiedere perdono. Ma questo proprio non era presente nel nostro fratello. E mentre era in Italia per un servizio all’Istituto fece nascere un’altra grande opera, frutto del suo amore privilegiato per i poveri e i sofferenti: l’ospedale pediatrico di Bor. L’ha voluto con determinazione, a volte eccessiva e appunto solitaria, ma fu per amore ai bambini e alle mamme disperate che bussavano alla sua porta per chiedere aiuto quando non avevano soldi per curare i loro figli. Per questo ospedale tornò in guinea ancora alcuni anni. Tra le tante testimonianze ricevute in questi giorni vorrei citare una parte di quanto mi ha scritto p. Giancarlo Todesco, OMI, economo della diocesi di Bissau: Mi unisco al tuo dolore e a quello di tutti i tuoi confratelli, così come mi unisco al dolore di tutti quelli che hanno ricevuto da lui aiuto e conforto, speranza e coraggio per crearsi un avvenire più dignitoso e più umano, nonché a coloro che suo tramite hanno potuto conoscere il Vangelo dell'amore e della carità. E sono tanti, tantissimi. Penso a tutti quei giovani che sono in pianto oggi per aver perso il loro papà, a tanti adulti che piangono il loro punto di riferimento come persona che ha saputo orientarli verso i beni che non passano. Quando passo per Bor e entro all'ospedale lo sento ancora presente in tutti quei malati che grazie a lui oggi beneficiano di cure per guarire le loro malattie, ma anche di amore per guarire il loro cuore. Ho avuto la fortuna di passare i miei primi anni della Guinea con lui alla Curia. Un uomo profondamente sensibile a tutto e a tutti, quanti incoraggiamenti mi ha dato perché non mi lasciassi abbattere dai problemi dell'economato, ma anche quanti esempi di uomo di preghiera; non dimenticherò mai la sua presenza alla cappellina della curia quotidianamente e regolarmente alle ore 15.00 del pomeriggio, tutto solo alla presenza del Santissimo e sgranellando la corona, perché penso avesse una grande devozione alla Madonna. Sì, ringrazio davvero tanto P. Battisti per il suo esempio, per la sua bontà, per il suo desiderio di aiutare la gente, specie il mondo giovanile. In questo campo aveva idee molto chiare e profetiche: se si voleva cambiare la società, occorreva partire dalla formazione della gioventù, il futuro del Paese, la speranza del domani. Purtroppo non tutti hanno saputo essere all'altezza dei questa grande fiducia ed hanno approfittato a suo scapito della sua bontà. E lui ne ha pagato le conseguenze. Peccato davvero! La sua vita missionaria gli ha dato di certo grandi soddisfazione, ma ha anche conosciuto grandi prove e momenti di sofferenza, fisica e morale. Ora mi piace saperlo arrivato nella sua patria, godersi il premio meritatosi per tutti i semi di carità e di amore seminati qui in questa terra. L’ultima parte di questa testimonianza dice un aspetto meno conosciuto di p. Battisti, ma essenziale: era un uomo di grande preghiera. In questo ultimo anno e mezzo insieme a Roma lo vedevo spesso in chiesa, in preghiera semplice, senza nessun libro davanti. Ha vissuto gli ultimi anni sicuramente in un cammino di conversione e avvicinamento ulteriore al Dio che ha amato e annunciato per tanti anni. Ha aiutato l’Istituto con passione, come responsabile del nostro giornale interno Inforpime. Ci teneva tantissimo; ha trasmesso a tutti, nonostante l’età, anzi forse proprio per l’età che aveva, l’entusiasmo per la Missione e il richiamo ad approfondire in ciascuno la vita spirituale, intellettuale e comunitaria. Grazie a te fratello, perché sei e sarai un esempio per me e per ognuno di noi. In Guinea si dice al momento della sepoltura: “que a terra seja leve”: che la terra che coprirà il tuo corpo mortale sia leggera, perché per chi ha camminato nella Luce di Cristo e a lui ha dato la vita, la morte non è pesante, è un passaggio faticoso ma gioioso verso la vera Luce, dove anche le pesantezze del nostro peccato saranno purificate, e vivremo dell’Amore, che è leggero e bello, bello come le opere artistiche che ha insegnato a fare a tanti giovani , e che abbelliscono la Chiesa del Cristo Redentor da lui costruita. p. Davide Sciocco