Notizie di Giovanni Firpo dal nostro Ospedale di Bor

       Un nostro giovane concittadino, Giovanni Firpo, laureando in Medicina presso l'Università degli Studi di Pavia, sta svolgendo da alcuni mesi uno stage presso l'Ospedale Pediatrico di Bor. Ci ha inviato  una lettera in cui ci parla della sua esperienza e delle sue impressioni sulla Guinea Bissau. 
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Ero già stato in Africa per fare volontariato, in Ghana al terzo anno di medicina; e ora, arrivato quasi alla laurea, imbattendomi nel progetto“Fondo Cooperazione e Conoscenza”dell’Università di Pavia per svolgere stages in paesi in via di sviluppo, ho voluto riprovare a mettermi in gioco per un’altra esperienza di volontariato: quello che mi aspettava più o meno già lo sapevo, dovevo solo scegliere la meta. Il vero motivo per cui sono finito qui è che la Guinea-Bissau, tra tutti i paesi più poveri del mondo, è il più vicino a Vigevano. Non ci credete? Andate su google e cercate “paesi più poveri del mondo vicino a Vigevano” e vedrete che, come primo risultato non vi uscirà Gambolò o Cilavegna, ma  Guinea-Bissau, in particolare la breve descrizione del paese sul sito della ONLUS “Agenzia Vigevano-Prabis”.                         Ho scoperto questo piccolo Paese proprio partecipando a qualcuna dalle varie attività di sensibilizzazione che questa ONLUS ha offerto a Vigevano. Tramite loro ho visto anni fa le foto dell’ospedale pediatrico São Josè di Bôr, a loro mi sono rivolto per fare da intermediari tra la mia università e l’ospedale per il mio stage;  quindi voglio ringraziare tutti i membri dell’Agenzia Vigevano-Prabis per la fiducia che mi hanno dato, e in particolar modo Nino Savini e Franz Bacchella che hanno fatto da padrini al mio “battesimo” guineense. Ormai sono alla clinica di Bôr da più di due mesi e un altro ne deve ancora passare prima del mio rientro a casa, e per questo mi è difficile fare un resoconto sensato di tutto quello che sto vedendo qua.                        Lo sbalzo improvviso dal bigio e spoglio inverno lomellino a questa caldissima e perenne primavera africana, la difficoltà nel comunicare con i Guineensi utilizzando il loro portoghese creolo, il caos puro del traffico nella capitale Bissau, il generale stato di decadimento che ti fa immaginare di essere sul set di un film post-apocalittico: queste erano le impressioni a caldo della mia prima settimana. Ma superato questo iniziale disorientamento, ho cominciato ad abituarmi  a questa realtà che prima sembrava così assurda. Non posso dire di sentirmi come  a casa mia, piuttosto come se fossi ospite a casa di amici: un luogo che non mi appartiene, ma dove mi trovo ben accolto e a mio agio. Di solito la prima reazione nel confronto con una cultura così differente è perplessità: per i nostri criteri europei vivere in sovraffolate case di fango e lamiera, spoglie come caverne, senza corrente elettrica e acqua corrente è inconcepibile. Così come ci sembra impossibile che si riesca a sfamare tutti in famiglie allargate che raggiungono anche 10 componenti (la maggior parte dei quali bambini), quando metà della popolazione guadagna meno di 1 dolloro al giorno. Come si fa a vivere così? Per loro é normale ma per i nostri criteri qual é la normalità? Invece la cosa a cui non riesco ad abituarmi è quanto differiamo nella sofferenza. Non che i Guinensi patiscano più di noi, né che  in Guinea-Bissau si soffra in modo diverso, anzi l’esperienza nell’ospedale mi ha confermato l’assoluta uguaglianza di un Africano e di un Italiano di fronte al dolore, alla malattia e alla morte. La differenza sostanziale è nelle cause della sofferenza, è qui che si nota una forte inegualianza. Infatti le piaghe che affligono questo popolo sono dovute principalmente alla situazione di povertà assoluta in cui vive la maggior parte della popolazione: malnutrizione, bassa scolarità, condizioni igieniche disastrose e mancanza di accesso a strutture sanitarie costituiscono un terreno fertile per il diffondersi delle malattie infettive epidemiche nel Paese (malaria, tubercolosi, HIV, colera, e altre infezioni respiratorie e intestinali), che diventano le principali cause di morte e di disabilità. 
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Al momento la situazione sanitaria generale resta disperata, soprattutto per donne e bambini: in Guinea Bissau le probabilità per un bambino  di morire prima di raggiungere l’età di 15 anni è del 41%, probabilità non molto distante dal lancio di una moneta; per fare un confronto, le probabilità di morte prima dei 15 anni per un bambino italiano sono del 2%; per le donne tra i 15 e i 49 anni c’è il 33% di probabilità di morire di parto;  in Italia le donne della stessa fascia di età corrono un rischio che si aggira attorno allo 0%. Per la stragrande maggioranza degli abitanti della Guinea-Bissau sono i fondi e le risorse fornite dai nostri aiuti a fare la differenza tra la vita e la morte. I bisogni della gente di qui sembrano infiniti,  mentre le risorse sembrano non bastare mai;  ma chi ha la fortuna di finire in un ospedale come il nostro di Bor,  riceve un tale miglioramento nella qualità della vita che si può quasi parlare di miracolo.                                                    Nel panorama sanitario della Guinea, caratterizzato da una pessima gestione delle risorse, personale  poco preparato e poco retribuito, strutture ospedaliere inefficienti e prive di igiene, questo nostro Ospedale costituisce invece un faro. .Il personale medico e paramedico è ben preparato, i piccoli ammalati possono contare su  cure avanzate e diagnosi eccellenti, grazie a una  struttura,  moderna e funzionale,   dotata di una sala operatoria,   di  un laboratorio di analisi,   di una sala radiologica e di una  farmacia, alla quale si rivolgono anche dai villaggi più lontani.  Per questo c’è bisogno di moltiplicare gli sforzi chiamando quante più persone possibile a dare il loro contributo, di qualsiasi entità esso sia. Per quanto insignificante possa sembrare in mezzo alla sovrabbondanza a cui siamo abituati nel mondo occidentale, ogni quantità di denaro, beni o anche tempo e energia messi a disposizione, una volta trasportata in una terra che manca di tutto ottiene un nuovo valore aggiunto, che prima era invisibile agli occhi: una gratificazione per noi, una nuova dignità per loro. 
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